Perché parlare del proprio dolore aiuta il paziente con PsA nella vita quotidiana

Artrite psoriasica: una diagnosi che spaventa

Non c’è aspetto della vita di chi riceva una diagnosi di PsA che non ne venga coinvolto. Il lavoro, le attività domestiche, la vita sociale e familiare subiscono inevitabili ripercussioni. Improvvisamente tutto ruota intorno alla “malattia”, e ospedali, medicine, codici di esenzione, esami, prescrizioni… diventano il fulcro dell’esistenza, lasciando al resto le briciole. Ma prima ancora di arrivare alla diagnosi, ci sono spesso le settimane, talvolta i mesi di dolori, di fatica, di malessere difficili spiegare, difficili da interpretare, sintomi fisici e psicologici che cercano una risposta. Il percorso che porta dai primi sintomi alla diagnosi ed infine alla terapia può essere irto di ostacoli

Questa consapevolezza deve essere innanzi tutto compresa e accolta nei suoi eterogenei risvolti dal paziente stesso, ma ancor di più da chi vive, lavora e si interfaccia quotidianamente con lui o lei. Convivere con la PsA, anche nella migliore delle convivenze possibili, permane una sfida complicata, tanto più pesante da affrontare quanto più precoce è l’età in cui si scopre di essere malati. L’artrite psoriasica è, infatti, una patologia infiammatoria cronica che comporta dolore, rigidità articolare, senso di spossatezza, e limitazioni funzionali: tutte condizioni da cui non si può “scappare”, perché anche nelle fasi di remissione, o di perfetta gestione dei sintomi grazie ai medicinali e alle terapie non farmacologiche, il paziente sa di non essere guarito. Chi sviluppa la PsA si dovrà pertanto imparare a:

  • Accettare le nuove fragilità del proprio corpo
  • Accettare di dover assumere farmaci per molto tempo, che possono avere effetti collaterali importanti da monitorare
  • Accettare di non avere più l’energia, la forza e la resistenza fisica di “prima”
  • Accettare la possibilità che ad una malattia se ne associno altre (la condizione di comorbilità nel caso della PsA è molto comune)
  • Accettare il fatto di dover avere a che fare con i medici a lungo termine, di doversi sottoporre ad esami e controlli regolarmente, e di doverlo fare (spesso) coinvolgendo persone della propria cerchia familiare che diventano, in tal modo, dei caregiver, ovvero degli “accudenti”
  • Accettare di non aver voglia di accettare tutto questo!

Convivere con la PsA, una sfida possibile

Le malattie autoimmuni non sono facili da gestire né, tantomeno, da capire. Cosa accade nel proprio corpo? Perché sembra “ribellarsi” contro se stesso, all’improvviso? E perché non è possibile tornare alle condizioni che precedono l’esordio dei primi sintomi? Domande legittime, a cui neppure i reumatologi possono fornire una risposta del tutto soddisfacente. Comprendere i maccanismi immunitari che portano allo sviluppo dell’artrite psoriasica e della malattia psoriasica tout court, capire quali siano i fattori genetici e ambientali in gioco, può non bastare al paziente. E, spesso, le parole per spiegarlo ai proprio affetti non si trovano. Come far comprendere quanto ci si senta spossati in certi giorni? Come sia faticoso dover affrontare le sfide della giornata quando la malattia è in fase acuta, o quando si devono aggiustare le terapie perché non stanno dando i risultati sperati e i sintomi diventano invalidanti? Che non ci si riconosce più nel proprio corpo? A volte, poi, la mente gioca brutti scherzi, e fa sembrare tutto troppo faticoso, ingiusto e doloroso.

Che fare, in questi casi?

Parlare della PsA

Non solo con il proprio reumatologo di riferimento, con cui è importante stabilire un rapporto di fiducia attraverso un dialogo costante, ma anche, e soprattutto, con le persone che stanno vicine al paziente: con i partner, con i colleghi e le colleghe di lavoro, con la cerchia delle amicizie, con i figli/e. Che spesso diventano dei caregiver.

Parlare è una terapia che fa parte del protocollo di cura. Parlare significa tirare fuori un peso che altrimenti potrebbe diventare a sua volta fonte di malattia. Rabbia, paura, frustrazione, impotenza, tristezza. Sono tanti i sentimenti che si accumulano in chi scopra di avere una malattia reumatica autoimmune e che per vergogna, disabitudine, educazione o riserbo non si riescono ad esternare. Per questo è utile:

  • Rivolgersi a psicologi professionisti (spesso figure già presenti nelle ASL) per essere aiutati e seguiti in un percorso di risoluzione interiore della malattia psoriasica
  • Rivolgersi alle associazioni dei pazienti con la propria patologia, per condividere le proprie esperienze e poter raccontare liberamente e diffusamente la propria condizione in tutti i suoi aspetti, con chi capisce alla perfezione di cosa si sta parlando
  • I pazienti reumatologici hanno (spesso) diritto all’esenzione. L’invalidità è un percorso indipendente dalla diagnosi ma legato prevalentemente all’attività di malattia ed ai danni provocati dalla stessa. Ad esempio un paziente con artrite psoriasica in terapia, con una buona risposta clinica e malattia in remissione ha certamente diritto ad una esenzione per malattia ma non ad una per invalidità, per questo è importante sapere a cosa si ha diritto in base all’andamento della malattia
  • Tenere un diario per sfogarsi, e scrivere tutto ciò che non si ha il coraggio di esprimere a voce circa il rapporto con il proprio sé “malato”, inclusi i sentimenti di rifiuto

Di seguito i link ai siti delle Associazioni dei malati reumatici nazionali e dell’Emilia Romagna:

https://www.anmar-italia.it/

http://www.amrer.it/