Da soli o con l’aiuto dei familiari: come fare un’autovalutazione del proprio stato articolare

Curare la PsA fin dai primi sintomi

Tra il 6 e il 42% dei pazienti psoriasici sviluppa l’artrite psoriasica, una malattia cronica distinta dalla psoriasi, ma con la stessa origine autoimmune. La PsA è una patologia reumatica infiammatoria che può colpire alcune articolazioni del corpo – mani e piedi, ginocchia, colonna vertebrale o le entesi articolari (la zona dove tendini e legamenti si inseriscono sull’osso) – e provocare dolore, rigidità e, se non trattata, danni articolari. Nell’85% dei casi, la diagnosi di psoriasi precede di circa dieci anni l’insorgenza dell’artrite psoriasica, mentre solo il 15% dei pazienti si ammala contemporaneamente di PsO e di PsA (manifestando i sintomi di entrambe le patologie), oppure solo di artrite psoriasica, senza manifestare mai i sintomi cutanei della psoriasi. I dati di letteratura riportano come circa il 15% dei pazienti con psoriasi seguiti in ambito dermatologico presenti una artrite psoriasica non diagnosticata.

La psoriasi cutanea è certamente il fattore predisponente più importante per lo sviluppo di una artrite psoriasica, è pertanto fondamentale che i pazienti conoscano e prestino attenzione ai primi sintomi di malattia. Attraverso l’ascolto e l’osservazione costante e mirata del proprio corpo, è possibile infatti iconoscere i sintomi premonitori della PsA, e, con la collaborazione del proprio/a dermatologo/a di riferimento, essere immediatamente indirizzati dal/a specialista in reumatologia. La gestione della PsA e le possibilità di remissione dei sintomi, infatti, dipendono in gran misura dalla tempestività con cui si giunge alla diagnosi, prima che la malattia possa produrre danni.

La PsA prima della PsA

Quali sono i sintomi predittivi della PsA? Nella maggior parte dei casi le manifestazioni acute di esordio dell’artrite psoriasica, vengono precedute da segnali che possono anche passare inosservati o essere considerati “trascurabili” dai pazienti stessi. Ad esempio, è possibile sperimentare per mesi una forte stanchezza non commisurata agli sforzi effettivi e allo stile di vita. Oppure, Un altro sintomo di esordio possono essere le artralgie, ovvero la presenza di dolore articolare in assenza di una franca tumefazione. Tali sintomi, benché aspecifici, possono rappresentare i prodromi di una artrite psoriasica vera e propria. che in realtà già sono indice di un processo sub-infiammatorio in atto. Mai sottovalutare questo tipo di disturbi! Al contrario, occorre parlarne con il proprio dermatologo, e provare a capire se sia il caso di sottoporsi a visita reumatologica di controllo. A volte sono i familiari, gli amici o i colleghi di lavoro che notano delle modifiche nel comportamento della persona con psoriasi indicative di un coinvolgimento articolare non ancora percepito dal soggetto stesso. Un diverso modo di muoversi, una lentezza, una rigidità o una fatica nel compiere gesti di routine che possono considerarsi a tutti gli effetti “spia” di un problema che sta per emergere.

I test per l’autovalutazione e il monitoraggio dei sintomi

Dal momento che “ispezionarsi” da soli per molte persone può risultare difficile, così come descrivere in modo appropriato i propri sintomi, soprattutto quando lievi e aspecifici, agli specialisti, sono stati messi a punti degli strumenti per l’autovalutazione che sono utili sia ai medici che ai pazienti. Si tratta di test con domande a risposta multipla e la possibilità di dare un punteggio al proprio livello di dolore, fatica o altro genere di sintomo. Un esempio è costituito dal questionario PEST (acronimo di Psoriasis Epidemiology Screening Tool), che si compone di sole cinque domande e che è stato riconosciuto dalla European Academy of Dermatology quale strumento efficace per la diagnosi precoce dell’artrite psoriasica nei pazienti con psoriasi cutanea. Altro esempio è rappresentato dal test PSAID (Psoriatic Arthritis Impact of Disease Questionnaire), che permette di giudicare in modo soggettivo, ma obiettivo secondo parametri standard, la qualità della vita in base ai propri sintomi e alle modifiche di questi nel tempo (ad esempio, dopo l’inizio della terapia farmacologica di fondo). Inutile specificare quanto sia importante sottoporsi con scrupolo a questi test di autovalutazione affinché l’esito ottenuto sia attendibile e risulti davvero utile agli specialisti che, in modo integrato, andranno a studiare un protocollo di cura ad personam, ovvero cucito su misura per ciascun paziente in base al suo profilo clinico.

Il paziente al centro della cura

L’autovalutazione dei sintomi, e il monitoraggio degli stessi nel tempo, sono strumenti che il paziente può e deve usare per la propria stessa salute. Siamo arrivati ad un punto di svolta nella medicina: non più la “malattia” al centro, ma la persona malata. Se, in passato, il protagonista era il medico, e l’oggetto di cura il corpo del paziente, oggi si tende a dare attenzione alla persona nella sua interezza, la quale, in collaborazione con gli specialisti che si occupano della o delle patologie di cui soffre, contribuisce attivamente al proprio benessere. Solo prendendosi la responsabilità della propria salute, cooperando con i medici e contribuendo alla modulazione delle terapie, è infatti possibile ottenere il massimo beneficio possibile dalle stesse. In questo senso, laddove possibile, è opportuno “tirare in ballo” in questa proficua rete di collaborazione anche i propri familiari e congiunti, soprattutto se caregiver, che a loro volta osservano e spesso anticipano con grande sensibilità e intuizione l’evoluzione di certi segnali premonitori diventando interlocutori privilegiati degli specialisti.